Scuola: adesso proviamo a cambiare

Giovanni Papini

Restituire la Scuola al suo Principio. “Remoto” non è solo il tempo della distanza, è anche il passato scomparso in fondo alla memoria. Ogni sconvolgimento sociale porta alle origini e ai principi traditi. Sono anni che la scure della spending review ha chiuso ospedali portando a carenze di posti, chiuso scuole di montagna e di periferie, abbandonando edifici come chiese sconsacrate, procedendo per accorpamenti da pollaio. Lo stesso che per le carceri diventate gabbie affollate. L’emergenza sanitaria richiede quello che si sarebbe dovuto rispettare e non smantellare. Così come la sanificazione e la manutenzione delle scuole, il personale qualificato e adeguato, i ruoli, i luoghi diversificati che si reclamano adesso, aspettavano già da prima di essere la normalità.

L’esercito sanitario di riserva da reclutare, così come l’esercito precario di riserva nelle scuole già aspettava, molti scegliendo di portare le proprie “competenze” nei centri di ricerca di altri paesi. È un vanto che i medici campani hanno mostrato il più alto grado di professionalità mancanza di strutture, mentre altrove è stato il contrario. Nelle scuole d’eccezione singoli docenti e dirigenti hanno sostenuto la normalità con l’eccezionalità della propria vocazione. Siamo il Paese di don Milani, di Montessori, dei Maestri di Strada, di Scuole Aperte in Campania, di Medici senza Frontiere. Eccezioni, che hanno portate a eccellenze per modelli lasciati all’archivio, mentre avanzavano i tagli del sociale e l’incremento della burocrazia. Adesso proviamo a cambiare, cioè tornare a quel che si è negato. Non si tratta di cambiare, ma di restituire la scuola al suo principio. È evidente l’urgenza di cambiare economia. Sanità Scuola Sicurezza “producono” comunità, reggono la società. La scuola ne è il principio.
Non è un edificio. In greco “skolé” indica il tempo interiore, libero da quello affaccendato e corrente, è il luogo dove si apprende il proprio tempo per il futuro del presente. La scuola non è un’industria, è però “industriosa”, che significa “operativa costantemente e ingegnosa”. Non si può parlare della scuola solo come presidio e chiamare a discutere gli “esperti” su episodi di violenza e di bullismo, cercando come cassetto in disordine, le colpe della società. Le scuole devono essere aperte. All’evasione scolastica si risponde con l’invasione scolastica. La città deve farsi scuola. La scuola deve invadere la città. Adesso che si comprende l’esigenza di portare la scuola nei musei, nei giardini, non bisogna cadere nella logica degli eventi, perché i luoghi siano nella progettualità della programmazione didattica. Gli stessi edifici scolastici devono avere come normale la manutenzione straordinaria, la pulizia, la sanificazione non è il momento della disinfestazione. Dispiace scriverlo, ma già il complesso universitario di Monte Sant’Angelo è sorprendentemente simile al carcere di Secondigliano. E tante scuole sono costruite nella logica della segregazione. È lo spazio e il tempo che questa peste ci sta chiedendo di ripensare. È lo spazio e il tempo, queste categorie lasciate ai filosofi sono quelle che i “concreti”, i “pratici”, i “politici” hanno ridotto a magazzini di merce e celle senza abitabilità.
Papini era certo libertario ed esagerato quando scriveva “Chiudiamo le scuole”, ma intendeva la cura della persona nella comunità sociale in cui vive e si opera. Le classi pollaio comportano che le ore della didattica sono si perdono per “tenere la classe”. Poi arrivano gli esperti, gli eventi, il docente che diventa facilitatore, le tecnologia ridotta a slide e copia e incolla. Adesso siamo alla DAD, che è uno strumento, c’era già prima ma non si usava. Può certo essere un valida, come aula virtuale che usavo già negli anni ’90. Non può però essere sostitutiva. I docenti hanno lavorato tanto di più in questi giorni. Isolati e connessi. Ci sono stati momenti di contatto personale negati dai banchi. Il desiderio dell’aperto è l’apertura di sé. Come quando si dice a una ragazzo che “non si apre”, è chi ha cura di te che ti dice “apriti”, dimmi, parla. C’è bisogno della scuola che vive. E “Scuola Viva” è il progetto della Regione, che prima era “Scuole Aperte”, una scuola che invade la città e che va ripreso, per restituire la scuola al suo principio. Scuole Aperte Significa stabilire dei “patti di comunità”, per una programmazione scolastica integrata ai luoghi e ai saperi della città. Non eventi isolati. Resta ancora un’eccezione quello che riuscii a stabilire alla Gigante di Cavalleggeri, trasformando con l’aiuto di docenti e dirigente un’aula in un salotto, con tappeti, divani, tende alle finestre, leggio, in funzione didattica, e funziona ancora come tale, mentre con rammarico guardavo fuori quel giardino così bello lasciato all’incuria, con i ragazzi al chiuso. Solo una volta riuscimmo a stare tutti all’aperto, insieme, in un ascolto così intenso ed eravamo tantissimi con un’attenzione che è così difficile stando reclusi. La “distanza” di questi giorni ci ha avvicinato, ci ha fatto ritrovare una comunità interiore, che aspetta di uscire fuori, diventando sociale. Solo la Scuola lo può operare.

Giuseppe Ferraro.

Pubblicato da maestrilavoro

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