Primo Maggio, i valori del lavoro

 

Il frenetico, rutilante pressante volgere di un dinamismo incessante e nel contempo soffocante e dispersivo della quotidianità, cui è soggiogato il sistema antropologico sociale e culturale del terzo millennio, ha annebbiato, offuscato dalla memoria collettiva fatti e ricordi che ora appaiono lontanissimi nel tempo ma che costituiscono e continuano a costituire i presupposti di riti e ricorrenze che con costante periodicità si rinnovano nel presente.

Al sorgere della industrializzazione dei processi produttivi, all’epoca della prima rivoluzione industriale (se ne ricordano tre con l’introduzione di: 1) macchina a vapore 1700, 2) elettricità e chimica 1870, 3) elettronica, telecomunicazioni, informatica 1970) verso la metà del 1800 operai e contadini non avevano diritti e lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni ambientali, e spesso per la assoluta mancanza di misure di sicurezza morivano sul luogo di lavoro. 

In quel contesto il 1° maggio 1886 fu indetto il primo sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per introdurre la giornata lavorativa di 8 ore. La protesta durò 3 giorni e provocò la morte di 11 persone. Il clamore degli accadimenti superò i confini nazionali e quei fatti divennero il simbolo delle rivendicazioni degli operai che lottavano in tutto il mondo per avere condizioni di vita e di lavoro migliori. Nonostante la risposta repressiva di molti governi dal 1890 la data del 1° maggio divenne la festa del lavoro e dei lavoratori in tutti i continenti. Didascalicamente si ricorda che in Italia nel 1923 con il regime fascista il 1° maggio venne abolito e la festa dei lavoratori confluì nel Natale di Roma il 21 aprile.

(Con la democrazia, nel 1947 la festa del lavoro e dei lavoratori divenne ufficialmente festa nazionale. N.d.r.) Negli Stati Uniti ove tutto ebbe origine il “labor day” si  festeggia il primo lunedì di settembre. Ai nostri giorni, il pianeta lavoro, la concezione del lavoro, la categoria concettuale, umana, sociale ed esistenziale di ciò che è, è stato e sarà sempre il motivo e la ragione fondamentale per l’esistenza materiale e metafisica  del genere umano travalicano, si rilevano parziali, inadeguati ed insufficienti per considerare ancora come una festa questo giorno. Ciò anche e nella misura in cui esistono ancora categorie disvaloriali come il lavoro precario, quello nero, quello a cottimo, quello sottopagato, fenomeni come il capolarato, il lavoro minorile, le differenze di genere sul luogo di lavoro, la mancanza di riconoscimento per il lavoro domestico, la disoccupazione specie quella giovanile, e si potrebbe continuare per molto ancora. 

Sia consentito in proposito, in maniera sardonica, ricordare lo sketch del compianto Massimo Troisi quando nel citare le varie tipologie di lavoro che venivano offerte, come quelle ora citate, esclamava “ma un lavoro e basta non esiste!”. Ora dopo tanti anni nell’aggettivare come “festa” quel giorno segnato in rosso sul calendario è giunto il momento per piuttosto celebrare  in maniera solenne una occasione che deve essere di unione e di condivisione di valori primari, diversi, comuni e condivisi, nonché nel rispetto della memoria dei tanti, troppi caduti sul lavoro (1404 nel 2021 e 114 nei primi 2 mesi del 2022).

In latino la parola celebrare ha come primo significato quello di frequentare, affollare. La celebrazione è proprio il momento dell’assembramento delle persone, delle donne e degli uomini per onorare ciò che li aggrega, per conferire un crisma di solennità all’evento, non festante (entro certi limiti) ma di serio impegno civile, partecipativo e democratico. La più alta citazione che assume il lavoro a fondamento del nostro vivere quotidiano la troviamo al 1° comma dell’art. 1 della nostra Costituzione che recita “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.  L’esegesi è da ricercare nella netta affermazione del fondamentale principio del lavoro, cardine e presupposto della intera architettura costituzionale e principio ispiratore della rinascita repubblicana. Non da meno è da evidenziare e riflettere sull’art. 4 della Costituzione che recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e le propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La norma esplicita due principi complementari: il lavoro come diritto che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini, promuovendo le condizioni che lo rendono effettivo;  il dovere che ogni cittadino è chiamato ad adempiere, svolgendo una attività o una funzione che contribuisca al progresso. L’ermeneutica è nel riferimento alla Repubblica sintesi civile e politica volta ed intesa a coniugare collettività e pubblici poteri entrambi chiamati a cooperare per la promozione ed il progresso del Paese, quindi di due alti valori: il popolo sovrano espressione della  civile e libera coesistenza e le pubbliche  istituzioni essenziali al funzionamento della macchina statale.

Il lavoro, quindi è palestra, è esercizio costante ed incrollabile di onestà, chiarezza espressiva e motivazionale, correttezza delle relazioni, affidabilità, coraggio nel promuovere sempre nuove iniziative ed innovazioni, generosità nel trasmettere il sapere alle nuove generazioni, fiducia tra azienda e dipendente, accuratezza nell’impegno quotidiano, determinazione nel raggiungimento degli obiettivi, fedeltà, riservatezza, e per questo è una parte importante della vita umana. Sincronicamente l’attività lavorativa occupa il nostro tempo ed assorbe energie e fatica, è fonte di aspirazioni, di soddisfazioni, di delusioni, tal volta di frustrazioni. Ne discende che il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un valore in sé perché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla nostra società ed agli altri ed in tal guisa contribuisce a dare senso alla nostra esistenza, assumendo quindi un valore esistenziale. Diacronicamente la società nel suo complesso e nel suo divenire attribuisce al lavoro un valore culturale, nella misura in cui per cultura del lavoro si intende il clima culturale che accompagna le trasformazioni strutturali del lavoro. La storia economica ci dimostra che il lavoro cambia in relazione al tipo di società, di struttura economica, di sviluppo tecnologico, di forma politica e di etica dominante.

Il valore culturale del lavoro, oltre al bagaglio di conoscenze, di esperienze, di competenze, è anche e più che mai un valore indispensabile ed apprezzato in un mondo che cambia a velocità vertiginose, come pure si configura come valore di adattamento e di coscienza critica nel fronteggiare le innovazioni di prodotto e di processo volto ed inteso a conferire un senso consapevole alla propria vita lavorativa. Quotidianamente, incessantemente, a volte inconsapevolmente attraverso il lavoro siamo protagonisti della trasformazione del nostro tempo e del nostro mondo nel naturale slancio al fine di renderlo più confacente ai nostri crescenti e variegati bisogni, alle nostre esigenze, al nostro senso del piacere e del benessere, alle nostre emozioni. In questo modo creiamo valore nel lavoro nella stessa misura in cui materializziamo il nostro valore espressivo, ritroviamo noi stessi nel vedere il risultato del nostro lavoro, delle cose prodotte con le nostre mani, dalla nostra mente, dalla nostra  attitudine e capacità creativa, dalla nostra forza immaginativa, dalla nostra vocazione alla riflessione, come pure dai nostri itinerari ideali sulle ali  della fantasia.

Il lavoro acquisisce un valore identitario e di senso della vita quando attraverso la nostra coscienza ci chiediamo in maniera implicita o esplicita chi siamo, cosa facciamo, cosa facciamo per vivere, quale è il nostro posto, la nostra collocazione, il nostro contributo al mondo del lavoro, quale è il nostro apporto al benessere collettivo; poco eufemisticamente si potrebbe dire quanto PIL produciamo. Per altro verso il lavoro ha anche un importante valore politico nell’attuazione da parte delle competenti funzioni statali nel promuovere, elaborare ed attuare le politiche del lavoro, nella creazione di posti di lavoro, nella riduzione della disoccupazione specie quella giovanile e creare le condizioni per un futuro sostenibile alle nuove generazioni. Le politiche del lavoro di qualsiasi natura ed estrazione presuppongono una attribuzione ed una concezione valoriale del lavoro. La pratica attuazione di queste politiche, la loro concreta realizzazione danno poi vita a mutamenti strutturali del mondo del lavoro e producono nuovi e mutati valori concettuali ed esistenziali dell’ambiente sociale.

E’ palesato, quindi, che il senso valoriale del lavoro umano è condizionato ed è funzione anche del potere politico e delle politiche del lavoro che a loro volta assumono un valore determinante nella loro concreta applicazione ed insinuazione nel tessuto economico del paese. Infine, i molteplici aspetti valoriali del lavoro non si esauriscono con il concludersi della vita lavorativa attiva e l’inizio della pensione. Come noto il CESAF ha acquisito e posto a cardine e fondamento del suo operato i valori del lavoro, della professionalità, della esperienza. Questi valori sono particolarmente sedimentati nella cultura e nell’operato dei lavoratori più esperti.

L’impegno dei lavoratori anziani, volto a trasmettere questi fattori positivi alle nuove generazioni, costituisce un alto valore morale che viene testimoniato e celebrato innanzi al Capo dello Stato nella ricorrenza del 1° maggio. Da ultimo, servendoci dell’anglicismo in progress ed adottando una linea di pensiero positiva, volgiamo lo sguardo fiduciosi verso una società del benessere spoglia e scevra dall’elementare basilare problema della sopravvivenza, dalla dura necessità di lavorare per vivere, ove sia possibile trovare nella libera creatività e nella libera realizzazione di ciascuno la gioia di lavorare, i valori per esprimere la propria personalità. Luigi Einaudi affermava: “Noi abbiamo la febbre del lavoro, perché per noi il lavoro non è fatica ma gioia, ma vita”.  

Mdl Giuseppe Taddei

Pubblicato da maestrilavoro

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