primo maggio festa della dignità e del lavoro

di Giuseppe Ferraro
Il lavoro è primo. In Italia è scritto al primo punto della Costituzione. La sua festa è il primo maggio, che è il primo mese che apre all’estate. È il mese delle rose rosse. E si cantava così quel giorno “Rosso in petto un fiore mi è fiorito”. Mia madre comprava i garofani. I garofani sono rose rosse senza spine. Li portava in pugno con il sorriso. Era la festa dei lavoratori, non del lavoro. Era la festa della dignità. Non dell’orgoglio, ma della dignità.
Era la festa di chi lavora, perché la dignità è del lavoro. Bisognerebbe rifletterci. La dignità si conquista con il lavoro, questo abbiamo inteso. Ad ascoltare la parola, lavoro ha il significato di “afferrare”, di “prendere con mano”, di “darsi pena”, di “operare”, “costruire”. La dignità è il riconoscimento dell’essere nato. La dignità è della vita. È prima del diritto che le viene attributo come riconoscimento d’esistenza. Prima di esistere, prima di essere assegnata, prima di far parte di un’inclusione. Viene prima. Il rapporto tra lavoro e dignità non è così scontato.
Non basta affermare che se hai lavoro hai dignità e che senza lavoro si perde anche la dignità insieme all’essere degno di esistere, di valere, di essere incluso. Quanto è difficile ragionare ed essere chiari su questi rimandi. Ancora di più ora quando il lavoro manca o quando ci sono lavori che offendono la dignità.
Un tempo il lavoro era separato dalla dignità e dalla libertà. Era degli schiavi. E ancora adesso sono tanti i lavori che tolgono la dignità.
Forse il primo maggio si festeggiava, perché era la festa “dal” lavoro, per affermare che la dignità viene prima del lavoro, ne è la condizione. Non ci può essere un lavoro senza dignità. Né si può avere dignità se si è messi fuori del lavoro, senza la possibilità di esprimersi, di fabbricare la propria esistenza, perché è il lavoro di esistere che rende degni di essere nati. È il valore dell’esistenza. La dignità si dà con il lavoro che dà valore all’esistenza.
Il lavoro si festeggia nei campi, con il raccolto, coi canti. Si festeggia quando è finito. È la festa del guadagno, della soddisfazione, del riposo, dello stare insieme. A Napoli il primo maggio era la festa dell’ospitalità. Era la festa di San Filippo e Giacomo, si legge nelle narrazioni d’epoca. La ricorrenza sul calendario agricolo era ancora più antica. Alle case che mostravano un fiocco rosso si poteva bussare e sedere insieme alla tavola. Era la festa della convivialità.
Nel Novecento era la festa delle manifestazioni. Era uno sciopero di festa. Ci si asteneva dal lavoro per lottare per il diritto al lavoro e delle condizioni di lavoro.
C’era la gioia della dignità al fondo. Ai lati delle strade c’era sempre la sorveglianza di Stato, faceva parte del paesaggio colorato del corteo. La richiesta era per le 8 ore di lavoro. Oggi il lavoro ha perso quelle due coordinate fisse di spazio e di tempo, di luogo e durata, di posto e di ore. È lavoro a distanza, robotico, smartworking. È dovunque e “quandunque”. Il contratto è sulla scadenza e sull’obiettivo, sulla consegna e sul prodotto. È quello che un tempo si diceva a “cottimo”, a “quanto”. Una formula che vale ancora adesso come la più diffusa e che sposta la durata calcolata dal tempo alla cosa prodotta. Sei pagato per la cosa che devi fare, non per quanto e dove lavori. Sei pagato sull’obiettivo. Il tempo è una variabile dipendente. Non più una condizione. Il tempo è la cosa. Puoi metterci quanto tempo vuoi conta la scadenza e il prodotto.
Ora anche il lavoro è a distanza, come la scuola è a distanza, come la democrazia è distanza, come la città è a distanza. Tutto quello che facciamo è a distanza da noi stessi. La crisi della rappresentanza è tale da non rappresentare nemmeno più se stessi. È tale da non essere presenti a se stessi.
È la misura dello starsi accanto che si perde quando la “distanza sanitaria” non si trasforma e non rafforza la “vicinanza sociale”.
La distanza è dalla dignità.
Così alla cronaca dell’oggi contiamo quanti posti di lavoro sono andati perduti per la pandemia, 900 mila o un milione. Importa poco la dignità. Non possiamo lavorare tutti e avere tutti dignità? Perché il lavoro significa inclusione e senza lavoro significa essere esclusi o reclusi? Non sarà che la dignità si coniuga all’ospitalità? Non sarà che è degna la vita che si vive insieme? In simultanea, “zusammen” si dice in tedesco, che quasi è un respiro a pronunciarlo, ed è questo che significa “insieme”, questo respiro “nello stesso tempo”, contemporaneamente, assieme, contemporanei, noi che siamo adesso qui insieme come quanti sono stati insieme e ne raccogliamo le opere e i giorni.
Il Primo Maggio è la festa dello stare assieme, dello starsi accanto. Il bene comune non è una cosa, ma è comune ogni cosa che si vive insieme. La dignità è della partecipazione, è di far parte della vita. Nessuno è libero da solo. La libertà è fatta di legami. Il lavoro deve essere comune. La pandemia questo ancora ci chiede. Una repubblica fondata sulla dignità.
Il Primo Maggio non è un giorno come un altro, ma un giorno che è prima di ogni altro come la sua festa è del primo mese dell’estate, la stagione che più altre è tale. Buon Primo Maggio
primo maggio 2021 il discorso del presidente della repubblica

Pubblicato da maestrilavoro

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