La crisi della democrazia americana

di Giuseppe Ferraro 
«La democrazia in America» è il titolo che Tocqueville diede al suo rapporto d’inviato speciale della Francia. Doveva riferire dello stato delle carceri in quel Paese per un confronto con il sistema penitenziario europeo. La democrazia di un paese si misura dalle condizioni delle carceri e delle scuole, perché per entrambe ne va della libertà, del suo apprendimento e di come si possa ritrovare una volta che sia stata perduta, perché violata o smarrita. Il rapporto fra libertà e democrazia attraversa tutta l’epoca del Moderno ed è il motivo per cui si discosta dalla democrazia degli Antichi. Quella di Atene è stata “democrazia diretta” perché retta da uomini liberi, ma non tutti quelli che abitavano la città erano liberi. La democrazia rappresentativa doveva permettere che tutti fossero riconosciuti “liberi” avendo il diritto di essere “cittadini”.
Quello che avviene negli USA di questi giorni è la manifestazione della fine della democrazia rappresentativa. Crisi annunciata, già da tempo “sentita”. Della libertà in America resta la statua. Per i Greci fu la Nike, la statua della Vittoria. Bisogna riflettere su questo passaggio di consegna simbolico ora che la Libertà si vede sconfitta.
La cosa ci riguarda come Europa che ha vissuto il totalitarismo e prova a riprendersi la libertà con l’unione di comunità ora che si rischia di perdere la via e ritrovarsi in una pandemia civile che segue quella sanitaria che rischia di mutare in epidemia sociale.
L’Italia non è fuori da questo pericolo. Bisogna guardarsi dentro, quando si assiste a quel che si vede accadere fuori. In pericolo è libertà. E viene immediato riflettere che la libertà si perde con la stupidità così come è l’ignoranza che porta la violenza. La libertà dei moderni rimanda al sapere, viene con l’illuminismo, la libertà è al lume della ragione. E le ragioni per cui non ci si sente liberi è perché ci si avverte meno cittadini, senza diritti, esclusi, clandestini, senza cittadinanza, confusi, allora anche la ragione va a rotoli e non si ragiona più. Si perde la ragione e la libertà.
La riduzione dei parlamentari in Italia doveva farci riflettere sulla libertà e sulla crisi della democrazia rappresentativa. Siamo ancora in tempo per capire che in questione è il rapporto tra Libertà e Potere e capire la “verità” della democrazia per sapere e vivere la libertà.
Tocqueville faceva delle considerazioni che andavano sul solco della “servitù volontaria” di La Boétie e anticipavano quelle di Orwell sul “grande fratello”. La libertà si perde per stupidità quando diventa proprietà. Non sarà certo un caso che chi se ne fa rappresentate si abbandona alle dichiarazioni più stupide e provocatorie, più irridenti e irriverenti, reclamando pieni poteri.
Tocqueville diceva che il pericolo per la democrazia moderna è nel rapporto tra uguaglianza e libertà e a fare corto circuito è la “maggioranza” che diventa dispotismo, quando si autorappresenta come potere assoluto. La maggioranza è lo scettro del dispotismo. Si reclamano elezioni ogni giorno che quando non si vincono si dichiarano false per brogli. Lo scopo è la sola affermazione di “partiti palco” per auto celebrazioni personali.
Fu Bobbio che teorizzò la difficoltà di tenere insieme libertà e uguaglianza. Era il tempo dell’affermazione del liberismo contro il comunismo. Le sue osservazioni portavano a riflettere su una disputa che è l’emblema della crisi delle democrazie. Si possono ora rileggere diversamente e insieme a quelle di Tocqueville e di Orwell e di La Boétie, di Trump e del Corona virus.
La libertà non è la proprietà di una cosa. Né è proprietà il Potere. La libertà è fatta di legami. E la politica nel grado suo più alto è la manutenzione dei legami sociali dove libertà e uguaglianza si rimandano nell’espressione dell’unione delle comunità.
Spieghiamolo più chiaramente. Il liberismo intende la libertà senza uguaglianza perciò come proprietà. L’egualitarismo intende l’uguaglianza senza libertà come omologante d’identità. L’uguaglianza appiattita sulla misura di eguaglianza geometrica è l’espressione di una identità scollata, perduta, non più propria, perché senza confronto, senza parola, senza riflessione, senza opinione. A cadervi si prende di mira – ed è paradossale – l’informazione, sentita come dittatura dei media. Allora di prendono a deformare l’informazione per liberarsi dalla sottomissione dei media, col risultato di rendere gli stessi social portatori di un’epidemia sociale dove ognuno perde il controllo di se stesso. Bisogna rifletterci.
Tocqueville diceva che l’uguaglianza è sentita più direttamente, agisce come pulsione, che per quanto giusta prende la via di una maggioranza dispotica. La libertà è più difficile, richiede di “imparare a parlare”, di “sapere ascoltare”, di “apprendere a vedere”, di “darsi pensiero”. La libertà non è una proprietà.
C’è una scena assai simpatica in quel libro, quando Tocqueville ci porta in una libreria americana e ci fa vedere come siano esposti molti libri di pratiche elementari, di come ottenere successo mentre sono pochi i libri d’autore. In un altro passaggio osserva come gli Americani siano cartesiani senza Descartes.
Bisogna rileggerlo quel libro e sarà certo tra i libri di testo del prossimo corso che terrò sulla libertà, insieme a quelli di Orwell, Arendt, La Boétie, Leopardi.
Sì, Leopardi, provo immaginarlo mentre conversa con Tocqueville sulla crisi della democrazia in quel rapporto tra libertà e uguaglianza distorto dalla maggioranza che diventa folla come adesso i followers. Gli individui vengono risucchiati in un’omologazione che corrisponde, dice Leopardi, a una classe politica che si abbandona allo spettacolo, ai pettegolezzi, alle battute, alla deriva della mancanza di libertà. Parimenti Gramsci reclamava una classe politica egemone, che Leopardi chiamava “società stretta”, come farsi guida sociale di una libertà senza proprietà.
La democrazia è in crisi e la libertà è in pericolo, quando l’opinione cede all’informazione il visto della propria parola, allora per sentirsi liberi ci si lancia contro l’informazione stessa. Sarà anche questo da capire. Bisogna imparare a parlare perché la libertà è della parola, ma è così difficile parlare, perché bisogna ascoltare per parlare, bisogna educare la voce all’ascolto. La libertà non è una proprietà. Non è una cosa. La libertà è fatta di legami. Nessuno è uguale a un altro, ma senza l’altro nessuno è libero ed è se stesso.
È così difficile imparare a parlare, ma è sapere parlare «che rende liberi anche dallo stress e dall’azione cattolica». Imparare a parlare è far risuonare la voce della vita nella fragilità dello starsi accanto. Rilke diceva che parlano quelli che vivono adesso, siamo noi che parliamo di quel che viviamo. Una bella responsabilità. Chi parla adesso risponde della vita. La parola ha questa responsabilità di essere la voce della vita che non è di proprietà.
Di là dall’emozione che può suscitare è la riflessione che occorre attivare di fronte a quel che vediamo di un’America che non avremmo mai immaginato. Gli anni ’20 di un secolo si presentano alla storia scuotendone le linee, è accaduto altre volte.
Bisogna difendere la libertà ritrovando la parola che sia voce della vita senza proprietà, solo allora la libertà è uguaglianza e l’uguaglianza è libertà.

Pubblicato da maestrilavoro

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