Il valore della pace

di Giuseppe Taddei 

Nella mitologia greca le Ore erano sorelle e venivano considerate le custodi dell’Olimpo. In origine erano tre e simboleggiavano il regolare scorrere del tempo nell’alterno ed eterno avvicendarsi delle stagioni della primavera, della estate e dell’autunno fuse insieme, e dell’inverno; in seguito ne fu aggiunta una quarta con evidente allusione all’autunno. Successivamente in epoca romana furono adottate per personificare le ore come unità di misura del tempo e divennero prima 12 e poi 24.

I loro nomi erano Eunomia cioè la legalità, Dike la giustizia, Irene la pace. In queste ore in tutto il mondo, specialmente in quello cristiano, ancorché declinato nei suoi vari riti, in presenza di una guerra esplosa nel cuore dell’Europa, nonché con l’approssimarsi delle celebrazioni per la liturgia della Santa Pasqua, ha assunto una valenza centrale il tema, o per meglio dire la categoria della pace.

La pace è un bene prezioso di inestimabile valore che spazia da assunti solo apparentemente astratti e simbolici come quelli individualistici quali il potere, l’apparenza, il successo; quelli altruistici come la condivisione, il servizio, la lealtà; quelli sociali come la famiglia l’educazione, il rispetto; quelli cristiani come la fede, la speranza, la carità; quelli relazionali, sociali, politici e filosofici. Per altro verso la pace è la precondizione essenziale ineludibile ed irrinunciabile per la creazione, affermazione e sviluppo di valori concreti e reali riconducibili al variegato sistema economico globalizzato funzione ed espressione del nostro benessere e della nostra qualità della vita di tutti i giorni. In mancanza del fattore pace non ci sono produzione di beni e servizi, non ci sono scambi commerciali, si interrompono i flussi finanziari, non si realizzano opere infrastrutturali, non c’è turismo, c’è solo regresso e lotta per la sopravvivenza.

Il mercato globale con le sue interdipendenze economiche, vedasi quelle per gli approvvigionamenti di risorse energetiche e di materie prime, ed i nuovi sistemi dell’informazione, vedasi le dirette da tutto il mondo, bunker sotterranei compresi, scatenano e diffondono la paura e ci rendono sensibili alle sorti di chi vive lontano da noi succube dell’invasore, come pure di chi ci sta accanto come i rifugiati. Il rischio è quello di una decivilizzazione, di una erosione delle basi fondamentali della vita civile ed organizzata.

Interpretando in maniera estensiva l’art. 11 della nostra Costituzione bisogna con vigore ripudiare la guerra come strumento per: risolvere le controversie, affermare le proprie ragioni, annichilire la funzione universale e sociale della politica e della diplomazia, delegittimare le istituzioni sovranazionali (ONU, NATO, UE), nazionali, locali, tal volta in nome di un effimero consenso di breve termine. In particolar modo l’Europa deve riappropriarsi dei valori dell’universalismo, sanare i rancori delle persone rimaste prive di garanzie, promuovere una politica capace di uscire dalle paure del presente, realizzare un futuro scevro da dipendenze, sostenibile ed inclusivo. Il mondo intero deve rendersi conto che la guerra è in assoluto la più aberrante, diffusa e costante violazione dei diritti umani. Con la soppressione del diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.

Senza sottovalutare l’eventuale aborrevole ricorso alla paventata, latente risoluzione nucleare, se l’umanità non sarà capace di bandire la guerra dalla storia, sarà la guerra a cancellare l’umanità dalla storia. Rivalutiamo e riappropriamoci degli insegnamenti del mondo greco antico, del mito di Irene e proviamo tutti da est ad ovest da nord a sud a divenire irenici cioè fautori e portatori di pace.

Pubblicato da maestrilavoro

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